Gavoi (24-30 aprile 2016)

Storia e cultura del paese dei pastori

di Pietrina Cualbu

Siamo a Gavoi, nella regione storica della Barbagia di Ollolai, la Romana Barbaria abitata dalle indomite popolazioni dell’interno che non vollero sottostare al giogo dell’invasore e scelsero come rifugio le zone impervie del massiccio del Gennargentu e le sue propaggini. Il territorio ha una superficie di 38,18 Kilometri quadrati di cui 21,13 sono ricoperti di boschi di leccio e roverella, un susseguirsi di colline e montagne di granito che precipitano a valle, uno specchio azzurro, grandi silenzi. In questo scenario si colloca la storia del nostro popolo. Non conosciamo con precisione il periodo della nascita del centro abitato: come altri gruppi etnici, anche il nostro ha affidato la propria storia alla memoria orale che attribuisce la paternità del villaggio ad un gruppo di pastori. E questo è il territorio dei pastori che partendo dall’altipiano di Lidana, dai boschi di Soroeni e Goddoro hanno portato l’allevamento della pecora in tutta l’isola. I nostri pascoli non sono sufficienti ad ospitare le greggi e, il pastore gavoese, da sempre, è alla ricerca delle grandi tanche nel Campidano e nella Giara, nella Nurra e nel Marghine. Accanto a ruderi di antiche capanne, passibales e abbeveratoi, moderne e razionali aziende rivelano l’organizzazione del territorio in funzione dell’allevamento ovino. Qui è nato il formaggio fiore sardo. Qui si celebrano le sagre dei pastori: sant’Antioco (seconda domenica dopo Pasqua), San Giovanni (24 giugno), Sa Itria (ultima domenica di luglio). Sa Itria, S’Eremu, S’Eremu de sa mela, S’Eremosa ci parlano di evangelizzazione, di preghiera, di cultura e di colture. Ogni toponimo racconta storia, quella storia non scritta, ma tramandata oralmente e giunta sino a noi. Il sito Littoleri con le annose querce, aceri minori e biancospini lungo le sponde del lago di Gusana, nella primavera del 1473 ha assistito al passaggio di don Leonardo Alagon per spartire, tra le ville di Gavoi e Ovodda, i salti della villa di Oleri disabitata a causa della peste del 1398-1401.
Un manto verde abbraccia il paese e nel verde i tetti rossi si confondono, si rincorrono, spariscono. Nell’antico centro storico scolpito nel granito, le case con i balconi fioriti e le strette viuzze scivolano sul pendio fino ad adagiarsi in un naturale anfiteatro che guarda la vallata e il lago. Nell’azzurro si staglia l’altissimo campanile in trachite rosata: fino agli anni sessanta terminava con una guglia a forma di cupola, demolita per motivi statici. A fianco di questa elegante torre campanaria sorge la chiesa parrocchiale dedicata ai martiri turritani Gavino, Proto e Gianuario. L’edificio, in stile tardo gotico, risale al secolo XV-XVI. Non ci sono documenti comprovanti la data di costruzione, ma in una chiave di volta è incisa l’iscrizione Anno 1555 Rev.do Lai che sarebbe il parroco di allora; un’altra chiave di volta riporta la data conclusiva del lavoro 1595 e il nome del parroco Quesada. Nella facciata in trachite rosata si apre un portale manieristico sovrastato da un ampio rosone in trachite rossa, formato da 14 colonnine disposte a raggiera e raccordato da archetti, come petali di una margherita. Il nostro rosone si accomuna a quello del santuario di San Mauro di Sorgono ed è uno fra i più belli che si possono trovare in Sardegna. L’interno è un’aula rettangolare coperta con volta spezzata, rinforzata da archi a sesto acuto, in trachite. A destra e a sinistra dell’aula, archi ogivali immettono nelle cappelle laterali intercomunicanti mediante archi a tutto sesto, coperte con volte a crociera gemmate. Il presbiterio, coperto da una splendida volta costolonata e gemmata, è realizzata in conci di trachite rossa e sulle 5 gemme sono scolpite l’effige di san Gavino a cavallo al centro, nelle altre vediamo san Pietro, San Paolo e i santi Proto e Gianuario. Si conservano pregevoli opere lignee con intarsi dorati e policromie vivaci: il battistero e il pulpito intarsiati nel 1706 nella bottega di Maria Giovanna Peddio e fratelli, essendo parroco Lai Deligia Francesco; il coro in legno di noce e castagno, durante il governo (1749-1762) di don Pietro Scarpinati. Nell’interno della chiesa troviamo le campane che fino agli anni Ottanta erano ubicate nella cella campanaria. Una è del 1586 e una del 1591: quasi certamente sono state fuse a Gavoi perché nel 1684 i mastros de Gavoi erano attivi a Nule in una officina di fusione e nel 1678, ai fratelli Juan e Antonio Marcello maestri campanari di Gavoi venne affidata la fusionedella campana della parrocchia di Dualchi… (Turtas e Masala).
In questa chiesa la comunità parrocchiale accoglie il vescovo monsignor Mosè Marcia: a lui diamo un caloroso e filiale benvenuto. Come il condottiero biblico ha guidato il popolo eletto verso la terra promessa, a lui chiediamo di guidarci nel cammino della comunione e del perdono superando gli steccati delle divisioni, delle incomprensioni, dell’indifferenza e riscoprire i valori e le radici cristiane della nostra gente. La chiesa di san Gavino è una delle sette chiese edificate dagli antenati: sette come le chiese citate da Giovanni nell’Apocalisse. Le chiese dedicate a sant’Antonio e a Santa Croce sono andate distrutte nella seconda metà dell’ottocento; l’oratorio della Madonna del Rosario, nel 1938 è stato trasformato in salone-teatro per le attività dell’Azione Cattolica voluto da papa Pio XI. Nel centro storico c’è la chiesa del Carmelo, un gioiello in stile gotico-catalano, edificato nel 1643 come sede della confraternita omonima. Presenta una sola navata di piccole dimensioni; in una nicchia di tufo che termina superiormente a foggia di conchiglia, delimitata da colonnine scanalate, è collocata la statua della Madonna. La volta a crociera è affrescata con figure di santi e, gli affreschi probabilmente sono della stessa mano di quelli della chiesa di sant’Antioco che sono del 1701 come ivi si rileva da una iscrizione in lingua spagnola. L’edificio ha un campanile a vela e rientra nei moduli dell’architettura catalana del XVI secolo. Nella parte alta del paese, anche la chiesa di san Giovanni Battista ricalca l’architettura del tardo gotico-catalano. Una epigrafe su due pietre murate esteriormente reca la data 1756. Lungo la strada provinciale Lodine-Mamoiada, sull’altipiano di Lidana si trova il santuario della Madonna d’Itria. L’attuale chiesa consacrata nel 1904 ha preso il posto di una chiesetta di origine bizantina di cui rimangono la campana del 1543 e un simulacro ligneo della Madonna col Bambino. L’ultima decade di luglio i fedeli della Barbagia si danno appuntamento nell’altipiano per perpetuare antiche tradizioni religiose, per celebrare i riti gastronomici della cucina dei pastori, per assistere alla corsa sfrenata dei cavalli anglo-arabo sardi. Nel recinto del santuario svetta solenne e severo un betilo alto circa tre metri e mezzo, unico superstite di un gruppo di menhir del sito sacro prenuragico, dopo che la croce sostituì il culto delle pietre e delle acque. Il comitato della Madonna d’Itria, come pure quello di Sant’Antioco e San Giovanni curano i santuari, collaborano col parroco e col priore di turno alla preparazione della novena, della processione e della festa. Eredi delle confraternite sono i priorati, tutti al femminile, durano in carica un anno e contribuiscono a mantenere in vita le tradizioni religiose durante la Quaresima, la Settimana Santa ed altri momenti di vita liturgica della parrocchia.
Il nostro Comune, nel 2005, ha ricevuto dal Touring Club Italiano la bandiera arancione per il patrimonio ambientale, culturale e storico, per la qualità dell’accoglienza e dei numerosi servizi, scuole dalla materna alle superiori, un presidio sanitario zonale e un servizio sanitario, una sede staccata dell’INPS e del Cesil, la stazione Carabinieri e Forestale, il commissariato di Polizia, palestre e campo sportivo, numerose associazioni culturali, sportive e di volontariato. Pesa sulla Comunità il calo demografico ed economico, la precarietà e la mancanza di lavoro per tanti giovani, laureati e diplomati. Ci incoraggia e ci conforta la parola di papa Francesco: «La speranza ci invita a riconoscere che c’è sempre una via d’uscita, che possiamo sempre fare qualcosa per risolvere i problemi…».

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Il programma
  • Domenica 24 aprile
    Ore 10.30: Arrivo del Vescovo
    Ore 11.00: Santa Messa presieduta dal Vescovo
    Ore 15.30: Visita al Cimitero
    Ore 17.00: Visite ai malati
  • Lunedì 25 aprile
    Ore 8.00: Santa Messa
    Ore 9.00: Visita ai malati
    Ore 15.30: Visita ai malati
    Ore 19.00: Incontro con il mondo del lavoro
  • Martedì 26 aprile
    Ore 7.30: Lodi
    Ore 9.00/11.00: Visita ai malati
    Ore 11.00: Incontri personali col Vescovo
    Ore 15.30: Visite ai malati
    Ore 17.00: Incontro con l’amministrazione comunale
    Ore 18.00: Santa Messa
    Ore 19.00: Incontri personali col Vescovo
    Ore 21.00: Catechesi con Associazioni, Movimenti e Comitati ecclesiali
  • Mercoledì 27 aprile
    Ore 7.30: Lodi
    Ore 9.00/12.00: Visita ai malati
    Ore 12.00: Visita al Commissariato
    Ore 15.30: Visite ai malati
    Ore 18.00: Santa Messa
    Ore 20.00: Percorso formativo con i fidanzati
    Ore 21.00: Veglia di preghiera
  • Giovedì 28 aprile
    Ore 7.30: Lodi, esposizione del SS. Sacramento ed esame di coscienza per le confessioni.
    Fino alle ore 17.00 Confessioni
    Ore 17.30: Reposizione del SS. Sacramento
    Ore 18.00: Santa Messa
    Ore 21.00: Incontro con i giovani
  • Venerdì 29 aprile
    Ore 7.30: Lodi
    Ore 9.00: Visita alla Scuola Materna
    Ore 10.30: Visita alla Scuola Elementare e Media
    Ore 16.00/18.00: Incontro con catechiste e operatori pastorali
    Ore 18.00: Santa Messa
    Ore 21.00: Incontro con le famiglie
  • Sabato 30 aprile
    Ore 7.30: Lodi
    Ore 10.00: Incontro con i bambini del catechismo
    Ore 11.30: Visita all’ITC Floris
    Ore 17.00: Santa Messa conclusiva con la presenza delle Parrocchie della Forania e saluti.

 

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