Progetto Pastorale Diocesano

Nelle nostre mani

«Non limitate la testimonianza in sacrestia ma siate veri e propri viandanti della fede», con questa spinta alla missionarietà, che trova il suo senso nell’essere Chiesa, il Vescovo Mosè Marcia ha presentato alla comunità diocesana il nuovo Progetto Pastorale diocesano. «Lo consegno perché andiate insieme ad annunciare la nostra fede, lo affido a tutti, tutti siete invitati a uscire e raggiungere chi ha più bisogno del Vangelo» – ha esortato –, consegnando il documento nelle mani dei sacerdoti e dei fedeli, che idealmente hanno rappresentato tutte le parrocchie della diocesi, le associazioni e i movimenti, presenti in gran numero in Cattedrale nella serata del 17 ottobre.
In piedi all’ambone per quasi un’ora, a tratti emozionato, stretto nella sua talare scura con la fascia viola, il Vescovo ha prima ripercorso le tappe che hanno portato al testo definitivo del Progetto descrivendo poi gli obiettivi che la comunità diocesana è chiamata a realizzare nei prossimi anni. «È la prima volta che presento un Progetto – ha confidato – può apparire un semplice libro, magari piatto, ma non lo è se visto nella sua genesi e nel suo senso profondo». Ma che cos’è un progetto? E cosa significa progettare una pastorale? Certamente il documento ha come in filigrana l’invito di papa Francesco nell’Esortazione apostolica Evangelii Gaudium a rivedere la pastorale per una Chiesa in uscita missionaria. Questo comporta, per la nostra comunità diocesana, una scommessa: «credere nel nuovo, in un nuovo che verrà, che ancora non abbiamo» – ha detto il Vescovo. «Non dobbiamo avere paura del presente ma guardare fiduciosi al futuro – ha proseguito – la parola progetto significa vivere di speranza, lasciarsi guidare dal futuro e questo comporta pazienza, vigilanza, laboriosità, comporta scommettere sulle intuizioni».
Lasciandosi guidare dall’icona biblica dei discepoli di Emmaus il Progetto propone innanzitutto tre momenti che creino i presupposti alla realizzazione degli obiettivi: conoscenza, comunione e condivisione. Tre momenti che si vivranno necessariamente nella parrocchia, “fontana del villaggio” come la definiva Giovanni XXIII o “autentico prodigio sociale” secondo la formula di Paolo VI: alla parrocchia compete infatti la cura pastorale.
Conoscenza significa lettura sapienziale dei problemi e in questo sarà fondamentale il ruolo dei consigli di partecipazione: il Consiglio pastorale e quello per gli affari economici – troppo spesso lasciati ai margini o mero orpello di tante parrocchie – dovranno aiutare la comunità attraverso proposte ben calibrate e programmi graduali, avendo la pazienza della verifica. «I consigli di partecipazione – si legge nel progetto – non lascino che le decisioni vengano prese da altri, né facciano tutto da soli, ma programmino e realizzano insieme alle famiglie, sia nella catechesi per l’iniziazione cristiana, sia nel realizzare la carità e nel sensibilizzare l’attenzione all’altro». D’altro canto anche le associazioni, i movimenti, le confraternite e i priorati, non devono lasciarsi – né essere lasciati – ai margini della vita comunitaria ma «possono superare la situazione di isolamento dalla vita parrocchiale ponendo nel proprio ambito e secondo le specifiche competenze, i personali carismi progettando e realizzando insieme l’azione pastorale della propria comunità». È lo stile richiamato e vissuto nella Veglia di Pentecoste, raro esempio di unità nella diversità, vissuto e animato con gioia da tutte le componenti ecclesiali della diocesi.
Comunione a partire dalla famiglia, che deve essere insieme “oggetto” e “soggetto” della pastorale. Famiglia – si legge nel Progetto – «indica uno stile e un clima di relazioni e di armonia che spinge a un mutuo soccorso ma che spinge anche la comunità ecclesiale a mutuarla per rendere se stessa famiglia di famiglie».
Condivisione fa rima con testimonianza. «I laici sono semplicemente l’immensa maggioranza del popolo di Dio» – scrive papa Francesco nell’Evangelii Gaudium. Il Vescovo ha voluto nella sua presentazione riprendere questo passo per richiamare i laici al loro compito di testimoni della Fede in ogni ambiente di vita e perché la Chiesa – come ha scritto il Papa – sia capace non solo di formarli ma anche di valorizzare le loro capacità per la nuova evangelizzazione.
I cinque obiettivi verso i quali la comunità diocesana si mette in cammino partono dunque dal sentire la famiglia come parte essenziale di ogni attività pastorale, passano per l’approfondimento della Dottrina Sociale della Chiesa, per una pastorale di condivisione e per una formazione permanente arrivando infine all’essere Chiesa superando limiti mentali e territoriali.
La famiglia va avvicinata bella sua quadruplice dimensione comunitaria. Come comunità di amore e di fede con una catechesi e una liturgia per gli adulti come pure attraverso incontri anche domestici intorno alla sacra Scrittura. Quale comunità educante occorre preparare nuclei familiari capaci di affiancare altre famiglie in questo compito. La famiglia è anche comunità sociale: senza lasciarsi travolgere dall’assistenzialismo la comunità cristiana dovrà potenziare la naturale propensione della famiglia a fare rete, fomentando la carità, formandosi alla responsabilità e alla solidarietà. La famiglia è infine comunità di vita, occorre accompagnare le coppie non solo fino alle nozze ma alla piena maturità dell’amore, alla genitorialità e alla totalità del dono. Per raggiungere questo obiettivo sarà necessaria la presenza di una commissione pastorale per la famiglia all’interno dei Consigli pastorali parrocchiale e diocesano, come pure una équipe di famiglie che accompagnino quelle in formazione e quelle appena formate.
La conoscenza della Dottrina Sociale della Chiesa dovrà essere diretta, attingendo ai documenti, e dovrà portare a sensibilizzare il mondo della cultura e dell’università e alla creazione di un Osservatorio capace di monitorare il mondo sociale al fine di essere solidali per far fronte alle difficoltà. «Non si tratta di fare sociologia, o filosofia politica, neppure sindacalismo – ha ammonito il Vescovo – ma di riscoprire la dimensione sociale del Vangelo».
Arrivare a una pastorale di comunione o d’insieme significa superare i particolarismi. La parrocchia sia coinvolta in tutti i suoi membri nella realizzazione di un progetto pastorale parrocchiale in sintonia con quello diocesano e con le linee della Chiesa italiana. Per questo tutte le realtà parrocchiali, comprese associazioni, movimenti, confraternite e priorati, dovranno essere presenti e rappresentate nei consigli pastorali e degli affari economici. Questa comunione si viva anche a livello di vicariale e a livello diocesano, grazie anche alla collaborazione dei vari uffici diocesani di pastorale che non si sostituiranno alle parrocchie nell’attuazione del progetto ma si metteranno a servizio di tutti.
Quello della formazione è l’obiettivo che maggiormente impegnerà i singoli e le comunità, è in progetto una “Scuola per operatori pastorali” che consenta di avere nozioni basilari specialmente a quanti si avviano a servizi ministeriali: catechisti, ministri dell’Eucaristia, lettori, accoliti e diaconi permanenti.
L’obiettivo finale è quello di una pastorale di missione permanente che racconti agli altri, vicini e lontani, la nostra fede, con gioia e entusiasmo. La missione riguarda le nostre stesse comunità che necessitano di un rinnovato annuncio evangelico e di una testimonianza più coerente.
Ora che il Progetto pastorale è nelle nostre mani, nelle mani di tutti, è arrivato il momento di impegnarsi nella sua attuazione, con coraggio e unità di intenti, perché davvero «le sfide esistono per essere superate».

f. c.

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