Il Triduo Pasquale

Lo stile del nostro essere Chiesa

L’unità, quella tra sacerdoti (e tra sacerdoti e Vescovo) e quella tra laici e consacrati, lo stile del “nostro essere Chiesa” – per usare un’espressione cara a monsignor Marcìa – è se non l’elemento portante certamente quello più significativo nelle parole risuonate in Cattedrale nel Triduo Pasquale appena celebrato. Ripercorrendolo a ritroso, dalla “notte chiara come il giorno” termine del lungo Sabato Santo e fino al giovedì della Messa Crismale, ecco gli spunti lasciati alla riflessione delle singole coscienze e, inevitabilmente, a quella collettiva dell’intera comunità diocesana.
Nella solenne Veglia della notte di Pasqua il Vescovo ha usato l’immagine del cero in una duplice prospettiva, da una parte esso è la rappresentazione del Cristo, d’altra parte esso «Non è frutto di una sola ape, ma di uno sciame di api che l’ape madre ha guidato. Mi piace – ha affermato monsignor Marcìa – accostare l’immagine di questo sciame di api alla Chiesa che esalta il valore del singolo, ci pone in relazione stretta con tutti gli altri, ci toglie dalla solitudine e ci fa rotolare i massi che ci tengono prigionieri. Possa questa Pasqua – ha pregato – farci riscoprire nella quotidianità la bellezza di essere Sua Chiesa, Sua Sposa, resa tutta pura dal Suo sangue e dalla Sua Resurrezione».
Nella solenne azione liturgica del Venerdì Santo contraddistinta dalla contemplazione della Passione del Signore e dall’adorazione della Croce e nella quale il Vescovo ha invitato a fermare lo sguardo sull’uomo Gesù, specchio davanti al quale rivedere la propria vita, è arrivato forte il richiamo alla verità: «La nostra vita di uomini credenti, che hanno il dono della fede, chiamati a fare delle scelte impone una risposta; sono nella verità – ha domandato – nel dare quelle risposte con uno stile di vita coerente con quello che professo? ». Ancora, potente l’immagine delle vesti di Cristo divise dai soldati: «Quante volte – ha sottolineato amaramente – rompiamo il nostro essere Chiesa, dividiamo le vesti del corpo mistico di Cristo o tiriamo a sorte l’unità della Chiesa e la svendiamo». Ma è in particolare nella Messa Crismale del Giovedì Santo che monsignor Marcìa ha voluto porre la questione decisiva dell’unità e comunione ecclesiale da manifestare sacramentalmente e nella vita quotidiana. «L’umanità, la nostra società, la nostra comunità diocesana nuorese, pretende da noi – ha detto rivolgendosi ai sacerdoti – la testimonianza dell’unità invocata da Gesù».
Sul tema – ha affermato – «ci ricorda la Lumen Gentium che “I presbiteri costituiscono con il loro Vescovo l’unico presbiterio”. L’unico presbiterio non si raggiunge studiando tattiche o coltivando chissà quali dinamiche corporativistiche ma è il “frutto” di una genuina spiritualità di comunione, fondata nell’unità sacramentale del presbitero di una Chiesa particolare. Certamente tutti noi crediamo, per fede e con profonda convinzione, questa verità. Occorre viverlo sul piano della vita nella Chiesa. Forse è bene, in obbedienza all’imperativo evangelico sulla correzione fraterna, sollecitarci vicendevolmente ad una profonda conversione».
Ha poi proseguito: «Vorrei, e qui chiedo da parte vostra la carità del perdono e della correzione fraterna per me, esortare me e voi a uno sguardo sincero su noi stessi; a chiederci che cosa ci spinge ad essere preti, a illuminare i veri sentimenti che abbiamo verso il popolo di Dio e verso gli altri preti. Non ci dobbiamo certo stupire se ci accorgiamo che i sentimenti sono a volte di indifferenza, a volte di invidia e gelosia, a volte di irritazione e di aggressività. Noi non siamo “al di sopra di ogni difetto”, siamo impastati di terra ordinaria. L’unico movente nel nostro vivere sia “l’amore per Cristo”. Per raggiungere questo scopo occorre la cura della vita interiore, la testimonianza personale, la preoccupazione di far penetrare nel cuore dell’uomo la Parola di Dio». Dopo aver ricordato i confratelli, non pochi, scomparsi nell’ultimo anno, la richiesta: «Carissimi fratelli nella fede, pregate con tutto il cuore per i vostri sacerdoti. Usate la carità anche nei miei confronti, perdonate le nostre e le mie insufficienze e pregate per me». (fra. co.)

 

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