Quando il teatro racconta la vita. E il carcere

La quarta parete si può rompere anche se ha le sbarre: non è solo il potere del teatro ma soprattutto la forza di volontà delle persone, la potenza della speranza che abita l’anima di ciascuno, la libertà che nessuna forma di detenzione può sopprimere. Questo, e molto di più – tale è la carita emotiva che l’evento ha portato con sé –, è andato in scena la sera del 12 giugno al Teatro Eliseo ma soprattutto la mattina successiva nel cacere di Badu ‘e carros. La notizia è che, per una sera, un uomo condannato all’ergastolo ostativo, il dottor Marcello Dell’Anna – laureatosi in Giurisprudenza nel 2012 –, è potuto uscire dal carcere per recitare come “ospite” della Compagnia Teatro Stabile Assai della Casa di Reclusione di Rebibbia, il più antico gruppo teatrale italiano composto da detenuti.
“La fine all’alba” è il titolo dello spettacolo. Storia di una rapina in banca organizzata da una gang improbabile che si trova, insieme a due ostaggi, essa stessa ostaggio – e non è che una sola delle metafore dello spettacolo – delle mura dell’istituto di credito per una intera notte, braccata dalla polizia che circonda l’edificio. C’è “lo psicopatico”, o sociopatico, cocainomane a cui manca l’aria, e poi “il colombiano”, “il professore”, e Aniello che racconterà la sua storia al giornalista Dell’Anna entrato in banca per cercare di aiutare la banda attraverso il suo lavoro, ancora “quello strano” che ha il volto stralunato di Antonio Zamma – lui noto attore professionista – e infine gli ostaggi: un pavido impiegato e un vecchio pensionato che si trovava nell’istituto per richiedere un mutuo. A inconrniciare l’azione una partita a scacchi tra la vita e la morte.
Nel teatro classico c’è un muro immaginario, la “quarta parete”, che divide lo spazio in cui si svolge la scena e il pubblico, gli spettatori. Nella rotonda di Badu ‘e carros questa divisione immaginaria è saltata alla prima battuta, alla prima nota musicale e specie al momento in cui gli attori recitavano i loro monologhi, ma la cosa straordinaria è che quei monologhi non erano recitati e che quelli che parlavano non erano attori: Aniello si è rivolto a un pubblico di tetenuti da detenuto come loro, denunciando la vendetta dell’ergastolo che sconta sulla propria carne, ed è stato un brivido. Mai come in questa occasione il teatro è stato vita, vissuta e raccontata. Non sono mancati i sorrisi, la gioia, il coinvolgimento legato alla musica suonata dal vivo da Antonio Turco – direttore di area pedagogica e responsabile delle attività culturali presso la Casa di reclusione di Rebibbia, oltre che musicista – e dalla sua band, con la apprezzatissima (e non solo per il canto) Barbara Santoni. Alla fine, dopo l’ovazione, le lacrime: perché recitare in teatro è bellissimo ma mettersi a nudo davanti ai fratelli ristretti in carcere è un’altra cosa.
Tra i saluti e i ringraziamenti finali merita una nota quello di Marcello Dell’Anna che rivolgendosi agli altri detenuti ha detto: «Mi conoscete come uno diretto e voglio esserlo anche oggi, per seguire la strada che io ho compiuto occorrono scelte radicali, innanzitutto tagliare il cordone ombelicale – specie economico – che ci lega al nostro passato». Ecco, c’è l’esempio di come la vita possa cambiare per tutti e i detenuti, anche con questo spettacolo, non chiedono altro: avere la possibilità di una seconda occasione. A dimostrazione che il loro urlo non cade nel vuoto c’era una platea che comprendeva, tra gli altri, la direzione del carcere di Badu ‘e carros con la dottoressa Carla Ciavarella, le responsabili dell’area educativa, la polizia penitenziaria giudata dal comandante Alessandro Caria, l’onorevole Roberto Giachetti, il volontariato penitenziario rappresentato dall’Associazione diocesana Massimiliano Kolbe. È tutto un mondo che non dimentica e che, seppur con fatica, non desiste dal portare avanti la sua missione.

Franco Colomo

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