La chiusura della Visita a Posada

Viandanti della fede per creare comunione

 

Tre motivi di riflessione racchiusi in un’unica celebrazione: la chiusura della Visita pastorale, la Giornata missionaria mondiale, un prete di questa comunità che va in missione. A conclusione della settimana vissuta nella comunità di Posada il Vescovo ha tratto dalla ricorrenza che la Chiesa vive a livello mondiale il primo spunto della sua omelia. Tema della Giornata missionaria su cui la Chiesa cattolica ha riflettuto quest’anno “La messe è molta”, un’espressione – ha riflettuto monsignor Marcìa – che spinge a rispondere che “gli operai sono pochi” e a pregare il Signore di “mandare operai”: «Ma gli operai sono sempre gli altri, manda altri, non me. La comodità è molta – ha ribadito – dovremmo forse cambiare mentalità, e non solo perché a Posada e La Caletta c’è un solo parroco per due comunità, ma cambiare mentalità davanti al Signore, perché la Chiesa è missionaria per natura». Una missionarietà che nasce in forza del Battesimo, «se siamo inseriti nella famiglia di Dio non possiamo disinteressarci del fratello che non vedo perché è lontano, è mio fratello e il Battesimo mi rende responsabile di quella famiglia».
Monsignor Marcìa ha poi spiegato come la Chiesa non si identifichi con il Regno di Dio ma come serva per raggiungere il Regno, allo stesso modo di Israele, popolo scelto perché attraverso di esso potesse incarnarsi suo figlio Gesù per raggiungere gli uomini: «Se Gesù non si fosse incarnato noi non saremo qui a celebrare l’eucarestia, non avremo mai conosciuto Dio. Dio si è servito di Israele per raggiungere tutti gli uomini, si serve di noi per raggiungere tutti gli uomini non per rinchiuderci, altrimenti abbiamo rinnegato il battesimo, il nostro appartenere alla famiglia di Dio». L’atteggiamento da tenere allora, per dirlo con le parole di papa Francesco, è quello di una Chiesa in uscita, il che «non significa solo solcare l’Oceano come si appresta a fare don Antonello Tuvone ma uscire dalle nostre comodità per venire incontro alle necessità dei fratelli della fede». Detto con altre parole, «uscire significa che ciascuno deve essere un viandante della fede, dove arriva porta fede, condivide fede, chiede fede».
Questa fede, «il nostro essere Chiesa – ha proseguito – mi proibisce di starmene a casa, chiuso a seguire il mio mondo. Proprio il mio essere Chiesa, frutto dell’incarnazione mi spinge a incarnarmi nella società in cui sono». Ecco il Vangelo, “date a Cesare quel che è di Cesare, date a Dio quel che è di Dio”, «al primo posto Dio ma nessuno di noi si può disincarnare », ha commentato monsignor Marcìa pensando a cosa questo significhi nel rapporto tra fede e politica o in quello tra Chiesa e Stato. Si è portati a pensare che siano cose che non ci riguardano ma «incarnare la fede nella mia realtà comporta la lealtà nei confronti del civile, nei rapporti con lo Stato con cui giochiamo sempre all’imbroglio». Qui si gioca dunque la fede, altrimenti «ci mettiamo a guardare la società dalla finestra e a dire che tutto va male e non ci rendiamo conto che tutto va male perché io sono alla finestra e non sono giù a lavorare con gli altri».
L’ultimo pensiero tratto dalla prima e dalla seconda lettura, suggerisce ancora di non limitarsi a una fede mistica che ci tiene a mani giunte in chiesa ma a raggiungere tutti: «Dio – ha ricordato il Vescovo – si serve di chi vuole per raggiungere tutti e si è servito di Ciro, quello che teneva in esilio il suo popolo, e lo tratta come profeta, come suo servo, un pagano!». Il messaggio della Visita pastorale allora si racchiude nell’impegno a «uscire dalle nostre comodità per creare con gli altri famiglia ed essere ponte per tutti gli uomini per il Regno di Dio».
Dopo il saluto di ringraziamento da parte del sindaco e del Consiglio pastorale, il parroco don Stefano Paba, parafrasando le parole del Papa appena richiamate dal Vescovo ha detto: «Noi siamo Chiesa in trasloco, in questa settimana ci siamo spostati in cinque posti diversi per la Messa, siamo Chiesa in allestimento» e si è detto fiero e orgoglioso dei collaboratori, di quanti si sentono già “in uscita” in questo territorio e nell’unone con la comunità di La Caletta simboleggiata dal gruppo che anima le liturgie con il canto. «Facciamo del messaggio del Vescovo un principio di azione – ha detto don Stefano –, abbiamo occasione per ripensarci come Chiesa e dobbiamo intraprenderla insieme. Quando i laici sono coinvolti la Chiesa viene rianimata, diventa più sé stessa, più matura, una Chiesa meno clericale e molto più di comunione, questo l’impegno». Poi una parola per don Antonello Tuvone, che al termine della celebrazione ha salutato la sua comunità di origine prima di prepararsi alla partenza per l’Argentina. Una vita che si dona con generosità – ha sottolineato il parroco don Paba – la diocesi che continua ad essere generosa nella persona di don Antonello, missionario di Posada nel solco e nell’eredità di padre Giovanni Giuseppe Coco. (fra. co.)

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