Alla Scuola della Parola con Rachele

Ha preso il via domenica 28 ottobre il secondo ciclo di incontri nell’ambito della Scuola della Parola diocesana, l’esperienza di Lectio divina inaugurata lo scorso anno con i tre appuntamenti guidati da padre Piegiacomo Zanetti. Quest’anno tocca a una donna, Emanuela Buccioni, originaria della diocesi di Terni, consacrata dell’Ordo virginum dal 2003, teologa, biblista e laureata in ingegneria. Una lettura della Sacra Scrittura tutta al femminile la sua, e non poteva essere altrimenti, data la scelta delle tre figure: Rachele, Debora e Maria.
Nella chiesa di San Giuseppe, gremita, è risuonata la lettura del brano della Genesi che ha come protagonista Rachele. Collaudato lo schema della Lectio, dopo l’invocazione allo Spirito e la lettura del passo biblico ecco il commento, seguito da un momento di risonanze e domande da parte dell’assemblea con una breve replica finale della biblista.
Rachele dunque, non isolata ma parte di un racconto corale, familiare, sposa di Giacobbe, sorella di Lia, con una corona di figli nati in seguito alle più diverse vicissitudini. Ma è in particolare il rapporto tra Rachele e Lia ad essere centro della riflessione e spunto per domande che interrogano l’oggi di ciascuno. Da una parte una donna amata ma sterile, dall’altra una non amata, che ha figli ma è ossessionata da ciò che le manca. «Capita a tutti – ha osservato Buccioni – di non godere del bene che abbiamo». Una è gelosa, l’altra prova risentimento, Rachele chiede – “dammi”, dice a Dio – dei figli. «Ma cosa è giusto chiedere a Dio? – ha domandato la biblista – si tratta di bisogni vitali o di desideri? Posso domandare qualcosa che dà pienezza ma se lo sento come un bisogno farò qualcosa che non è lecito. Anche noi viviamo qualcosa del genere? Proviamo gelosia per qualcuno?», ha domandato ancora Buccioni. La preghiera del Padre nostro è il canone di cosa è giusto chiedere.
Rachele sceglie la strada che è stata anche di Sara, mette in mezzo una schiava, ma questo non porta buoni frutti. Lo farà anche Lia, cercando una felicità che le sfugge, ma la sua gioia – “mi diranno beata” – è solo apparenza, amarezza. «Anche noi stiamo portando avanti una competizione? Cosa consideriamo delle vittorie?» E ancora, «dove ci sentiamo beati e dove sterili?».
Dopo questo quadro di contesa in cui tutti soffrono cercando la felicità in modo solitario la scena cambia. Al tempo della mietitura compaiono anche le mandragore, considerate i frutti dell’amore date le loro proprietà. Il pretesto del frutto suscita a Rachele il desiderio di andare incontro alla sorella, con coraggio fa un passo: «Una situazione di grande dolore – ha commentato la biblista – è già un grido nei confronti di Dio, non lo lascia indifferente ma muove il suo cuore. Rachele riconosce la propria mancanza nei confronti della sorella e dopo anni di silenzio si apre una nuova possibilità di vita fraterna. A questo punto le cose cambiano: Lia riprende a generare. «A volte aspettiamo il passo dell’altro o attendiamo per farlo a nostra volta, ma se abbiamo una scusa per intrecciare un rapporto dobbiamo essere consapevoli di essere di fronte non a un male minore ma a un bene possibile», il commento di Emanuela Buccioni.
Nell’ultimo quadro ecco l’intervento di Dio, che «si ricorda ». E il verbo che incontriamo più volte nel testo biblico, è il Dio che si ricorda di Mosè, di Abramo, del suo popolo che geme e grida. «Dio interviene per generare vita: come collaboro con il Dio della vita che interviene? Come tolgo gli ostacoli perché intervenga? ». È l’immagine del pozzo, simbolo della Scrittura, dal quale si deve togliere la pietra. «Dio c’è – ha concluso Buccioni – ma io devo fare la mia parte: come collaboro che azioni compio nella mia vita e nelle mie relazioni?». Tante provocazioni sulle quali riflettere. Prossimo appuntamento per domenica 9 dicembre, sempre alle ore 15.30 nella chiesa di San Giuseppe.

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  • Ascolta l’audio della Lectio di Emanuela Buccioni

Rachele

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