Redentore 119, l’omelia di monsignor Mosè Marcia

Festa del Redentore! Festa dell’origine della nostra fede e del suo compimento. La nostra Redenzione! Festa dell’Infinita Misericordia attuata da Dio nei confronti dell’uomo, in ogni suo aspetto, dall’intelletto alla volontà, dall’affettività al sociale, dal privato al politico.
La Redenzione, non è solo la salvezza dell’anima, ma di tutto l’uomo in tutti gli aspetti del suo vivere, in tutte le sue relazioni familiari, lavorative e sociali, in tutti i suoi rapporti con se stesso, con gli altri e con Dio. La redenzione è l’accogliere grati un bene infinito, liberati dal peccato originale. Se non si accetta il peccato originale e la Redenzione che esso richiede, ci si condanna a vicenda, ci si ricatta a vicenda. Non c’è nemmeno quella “compassione” che un pagano, come Cicerone, diceva essere la virtù più umana.
Si è nati feriti, si è nati cattivi. Alla lunga a nessuno è possibile da solo osservare nemmeno quelle leggi scritte nel cuore che sono i dieci comandamenti. Si è poveri peccatori. Proprio per questo, per noi uomini e per la nostra salvezza il Verbo, Dio, l’Infinito, l’Onnipotente si è fatto carne, creatura.
Abbiamo bisogno della divina misericordia! Questo dono che Lui ci elargisce è il fondamento del perdono reciproco, la risorsa capace di animare una nuova socialità, la riconciliazione, l’accoglienza dell’altro!
Ma chiediamoci: tra noi è proprio così? Riflettiamo un attimo e, siamo davvero leali, almeno una volta con noi stessi! Parlo di casa nostra, della nostra Diocesi: troppa gente vive di pane e di invidia! Si arriva all’assurdo, il massimo del peccato, di godere non tanto per il proprio bene ma per il male altrui. L’invidia è alla radice del peccato originale e dove essa alligna diventa come il diserbante che rende sterile il campo e la fatica di chi lo coltiva. Raramente ci si confessa di questo peccato, ancora con più fatica lo si ammette, sempre si tende a tacerlo!
Queste mie povere parole cristiane non intendono accusare nessuno. Vogliono, invece, ridestare il desiderio del dono divino della Misericordia, della Redenzione che deve permeare tutta la realtà umana, il rapporto tra marito e moglie, tra genitori e figli, compresa l’economia, il diritto, la politica, il mondo intero. Altrimenti continuiamo a vivere un cristianesimo schizofrenico, fatto di parvenze, di cose rituali da dire e declinare secondo i propri interessi. “Ma il loro cuore è lontano da me” (Mc 7,7 che cita Is 29,13)
Certamente economia, diritto, politica hanno le loro leggi, la loro specificità ma, nello stesso tempo, fanno parte dell’umano e devono integrarsi in questo contesto più ampio.
Ciò che in termini di scienza economica, giuridica e politica è ineccepibile non è detto che lo sia dal punto di vista del rispetto della persona, della dignità umana, di tutto l’uomo, nella sua complessità, che viene prima di un singolo suo aspetto.
È emblematico, a riguardo, il pronunciamento di 181 amministratori delegati delle maggiori e più grandi multinazionali statunitensi riunitisi il 19 di questo mese, dove non mettono più il guadagno al primo posto ma il rispetto dell’ambiente e della persona.
Vi è qualcosa di sostanziale nell’uomo, che viene prima dei puri indicatori economici, della formalità delle leggi e delle prassi politiche.
Vi è più di qualcosa che non può essere delegata all’invidia. La Sacra Scrittura, nel libro sapienziale dei Proverbi, ci ricorda che un uomo malevolo nel suo dire è la rovina di una città. Se i suoi imitatori si moltiplicano restiamo un popolo irredento. Perché non guardare la realtà e interrogarci con lealtà e coraggio: Quanti suicidi in questo nostro territorio sono legati da un filo rosso di parole non dette, di sguardi poco amichevoli, di giorni mancati, da carezze negate, di illusioni insopportabili, di mancata reciproca fiducia!
Fiducia! Fiducia è non lasciarsi condizionare dal limitato particolare, che può facilmente nascondere l’interesse individuale e personale, senza vedere l’uomo nella sua interezza, nell’insieme dei suoi rapporti: guardiamo gli altri. Non pretendiamo che essi siano come noi, bensì partiamo dalla consapevolezza che io non sono quello che dovrei essere. Se si riconosce questo, come abbiamo pregato all’inizio della messa, chiedendo perdono dei nostri errori, allora chiediamo che sia il Redentore, che da questa vetta vede tutti, buoni e cattivi, e tutti vuole abbracciare, sia la Sua Misericordia, la Sua Riconciliazione un nuovo modo di camminare tra di noi, un nuovo sguardo, un nuovo inizio.
Non è l’idea personale che ciascuno di noi si fa della giustizia e della misericordia di Dio a dire in che cosa esse consistono; al contrario, è la Parola di Dio a dirci in che consista la giustizia, la misericordia, la fiducia e come si compongono tra loro.
Come dice il vangelo appena ascoltato: “Questa è la vita eterna: che conoscano te, l’unico vero Dio”.
Per una buona convivenza sociale: la sicurezza, la legalità, la certezza della pena sono certamente valori, ma lo sono anche la misericordia, il perdono, la riconciliazione, l’accoglienza. Lo è la fiducia, senza la quale non può esistere una convivenza umana degna di questo nome. Ma se il Redentore non c’è, di chi debbo fidarmi? Il Redentore ci rende tutti più umani, ci rende tutti più “uomo”

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Quarantotto anni fa questo monte fu bruciato da un incendio doloso e Nuoro pianse Francesco Catgiu arso vivo per salvare dalle fiamme il figlioletto e il bestiame. La natura, rispettata, ci ha ridato “il Monte” con questo suo verde. Ancora pochi giorni fa, mani criminali, hanno dato alle fiamme centinaia di ettari di terreno dove trovavano vita famiglie intere, coltivando quelle terre e conservando il pascolo per il loro bestiame! La natura, se ancora rispettata, ridarà la vita là dove scellerati, hanno seminato morte! Così mentre la distorta e malvagia vita di quell’uomo incendiario avrà fine, la natura elargirà ancora vitalità all’uomo che la sa rispettare e ci vuole convivere.
È un paragone, doloroso e fiducioso, che voglio farvi. Una pallida immagine di ciò che nella Redenzione, Dio Padre fa con noi uomini, peccatori, ma suoi figli!
«Mentre noi eravamo ancora peccatori, quando eravamo nemici, Cristo morì per gli empi nel tempo stabilito» (cfr Rm 5, 6-10). Così scrive S. Paolo nella lettera ai Romani che abbiamo appena ascoltato.
“Peccatori … empi … nemici …!” Questa è la visione che Paolo ha del cuore umano. Eppure, l’abbiamo sentito: nel cuore di questo uomo, grazie al libero sacrificio di Gesù sulla croce, “è stato riversato l’amore di Dio”! Così, «Mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi» (Rm 5, 8).
L’ambiente culturale e sociale in cui siamo immersi non accoglie questo messaggio, lo giudica retrogrado, di altri tempi e lo ostacola! Così annienta l’uomo nella sua dignità, che invece viene esaltato, quando riflette che Dio lo stima tanto da mandare, per salvarlo, lo stesso suo figlio.
Qui sta la grandezza del nostro Redentore! Ci ricorda San Paolo: “A stento si trova chi sia disposto a morire per un giusto; forse ci può essere chi ha il coraggio di morire per una persona dabbene. Ma Dio dimostra il suo amore verso di noi perché, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi” (Rm 5, 7-8) – È quella natura che rispettata, ridà il verde alla Montagna.
Qui sta anche la nostra grandezza e la nostra dignità che con il salmista ci fa dire: “chi è l’uomo perché Tu te ne prenda cura?”!
Forse noi stessi non ci apprezziamo, eppure per Dio valiamo molto! Lui infatti per ognuno di noi ha sacrificato il Suo Unico Figlio!
Ecco perché ogni uomo, senza alcuna distinzione, di razza, di colore, di nazionalità è costitutivamente soggetto di diritti fondamentali, cui corrispondono precisi doveri.
Di quale assoluta dignità ogni uomo, ognuno di noi è portatore per meritarsi un Dio crocifisso?
Su queste basi di straordinario realismo è possibile edificare una società civile capace di valorizzare ogni differenza e promuovere la giustizia e la pace.
Permettetemi, carissime autorità, che portate il peso del governo statuale a tutti i livelli, da questo concetto e grandezza di uomo, e dalla concezione di cittadinanza e di società che ne deriva, discende un metodo adeguato per l’esercizio del “potere” cioè del “servizio” in democrazia.

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La festa de Redentore è la festa della nostra speranza, della certezza della nostra fede. È Cristo Crocifisso e Risorto, il nostro Redentore, “colui che costruisce il Regno di Dio nel corso della storia”.
Noi celebrando oggi il Redentore, proclamiamo la virtù teologale della speranza, che da una parte ci spinge a non perdere di vista la meta finale che dà senso e valore all’intera nostra esistenza e dall’altra ci offre motivazioni solide e profonde per l’impegno quotidiano nella trasformazione della realtà per renderla conforme al progetto di Dio (così S. Giovanni Paolo II nel Tertio millennio adveniente, 45)
Ancora S. Paolo, l’abbiamo appena sentito, afferma: “La speranza non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato… ”(Rm 5, 5), in questo modo sottolinea il legame intimo e profondo che vi è tra il dono della Spirito Santo e la virtù della speranza.
È infatti il Redentore che dandoci lo Spirito Santo, suscita in noi la certezza che “nulla potrà mai separarci dall’amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore” (Rm 8,39) – “Se il Signore è con noi, chi potrà essere contro di noi?” (Rm 8,31)
Paolo non esclude dalla vita dei credenti in Cristo le tribolazioni, quindi, la sofferenza che talvolta sembra accanirsi contro chi si sforza di compiere il volere di Dio, ma abbiamo la speranza, cioè la certezza della nostra fede che il Signore è con noi nella tribolazione e nella sofferenza, noi non siamo mai soli!
La virtù cristiana della speranza è la certezza d’esser salvi e di poter giungere dove Gesù risorto ci ha preceduto.
La speranza, è forza che viene da Dio e a Lui conduce e, in noi uomini, suscita un nuovo modo di vedere le cose, di sentirle, di viverle, diventando così anche virtù umana!
È la speranza, certezza di Dio tra noi, che plasma un nuovo modo di pensare e di agire che passa anche attraverso l’esercizio rigoroso della responsabilità politica e sociale, economica e finanziaria, da parte di tutti, sento di doverlo ribadire: da parte di tutti! Almeno quanti celebriamo oggi, qui la festa del Redentore, e sanno che “nulla ci potrà mai separare dal Suo Amore” (Rm 8,39).
Questo, per il cristiano, è impegno concreto a favore del bene comune in qualunque modo venga ricercato, impegno che da nessuno può essere tralasciato se non colpevolmente. Certo, avere il senso di Dio qui aiuta non poco.
La festa del Redentore ci aiuti a essere intelligenti e accoglienti nel nostro tempo in cui siamo chiamati a vivere come coloro che sanno d’essere già salvati ma ancora protesi nella speranza, fondata in Gesù, il risorto.

* * * *

Signore Gesù, ascolta e esaudisci la preghiera che, con le parole di San Giovanni Paolo II, ti rivolgo per questa città, per questa diocesi che si appresta ad accogliere come sua guida e Pastore colui che tu stesso ci mandi e in nome tuo viene tra noi.
Guardala, o Cristo, dalla tua croce e salvala. 
Guarda i poveri, gli ammalati, gli anziani, gli emarginati, i giovani e le ragazze che hanno imboccato strade disperate, tante famiglie in difficoltà e colpite dalla disgrazia e dai disagi sociali. 
Guarda e abbi pietà! 
Guarda coloro che non sanno più credere nel Padre che sta nei cieli e non ne percepiscono più la tenerezza, coloro che non riescono a leggere nel tuo volto, o Crocifisso, il loro dolore, la loro povertà e le loro angosce. 
Guarda quanti giacciono nel peccato, lontano da te, che sei la sorgente d’acqua viva: 
l’unico che disseti e plachi il desiderio e l’ansia irrequieta del cuore umano. 
Guardali e abbi pietà.
Benedici tutti i lavoratori che nella quotidiana fatica provvedono alle necessità della famiglia e al progresso della società. Benedici anche quanti oggi a Roma cercano di salvare la loro dignità che viene dal loro lavoro.
Benedici i giovani, perché non si spenga mai nel loro cuore la speranza d’un mondo migliore, e la volontà di spendersi generosamente per edificarlo.
Benedici coloro che ci governano, perché, in questo momento critico per la nostra nazione, lasciata ogni ricerca di interessi personali, di parte o di gruppo, siano autentici operatori di giustizia e di pace per l’intera nostra società italiana. 
Benedici i sacerdoti che guidano le comunità, i religiosi e le religiose. 
Benedici il seminario e dona a questa Chiesa giovani e ragazze generosi, disposti ad accogliere la chiamata al dono totale di sé nel servizio del Vangelo e dei fratelli.
Signore Gesù, donaci la pace, tu che sei la pace e nella tua croce hai vinto ogni divisione. 
Fa’ di ciascuno di noi un autentico operatore di pace e di giustizia: persone che si impegnano a costruire un mondo più giusto, più solidale e più fraterno. 
Signore Gesù, ritorna in mezzo a noi e rendici vigilanti nell’attesa della tua venuta. Amen

+ Mosè Marcia

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