Meriam deve vivere

Un caso analogo a quello di Asia Bibi, dal 2009 rinchiusa in carcere in Pakistan perché cristiana, una notizia che in poche ore ha fatto il giro del mondo e che riportiamo nel resoconto che ne ha fatto l’Agenzia di stampa del Pime Asianews:
Una donna sudanese è stata condannata ieri all’impiccagione per apostasia. Essendo incinta di sette mesi, la sentenza sarà ritardata di due anni. Ma intanto la donna dovrà anche ricevere 100 frustate per adulterio, avendo lei, considerata musulmana – contratto matrimonio con un cristiano, ciò che non è permesso dalla legge islamica. La vicenda definita “stupefacente e orribile”, è un concentrato di umiliazioni per i diritti della persona.
Meriam Yehya Ibrahim Ishag – questo è il nome della donna, 27enne – è nata da padre musulmano. Ma avendo l’uomo abbandonato la famiglia alla sua nascita, la piccola è stata educata dalla madre, un’etiope ortodossa, alla religione cristiana. La donna ha poi sposato un cristiano del Sud Sudan. Dal 1983 a Khartoum vige la sharia e un tribunale islamico ha condannato Meriam alla morte. La condanna è avvenuta l’11 maggio, ma i giudici le hanno dato quattro giorni per ripensarci e tornare alla fede islamica. La donna, nella gabbia degli accusati, ha risposto: “Sono cristiana e non ho mai fatto apostasia [dall’islam]”. Alla sentenza di morte i giudici hanno aggiunto la pena di 100 frustate per “adulterio”. La donna era stata arrestata nell’agosto 2013 proprio per adulterio. La corte islamica vi ha aggiunto l’accusa di apostasia dopo che la donna si era dichiarata cristiana, e non adultera.
Dopo la sentenza, alcune decine di persone amiche di Meriam hanno manifestato per chiedere la sua liberazione. Gli avvocati della donna pensano di ricorrere in appello e fanno notare che la sentenza (e la legge islamica) contraddice la costituzione.

Il quotidiano cattolico Avvenire si è fatto promotore di una campagna via Twitter con l’hashtag #meriamdevevivere e di una petizione: le adesioni si raccolgono direttamente sul sito del giornale o all’indirizzo di posta elettronica meriamdevevivere@avvenire.it

Aggiornamento: Il 27 maggio Meriam ha partorito in carcere. “Maya è nata ieri, sta bene, ma non è una bimba libera. Come Martin, il fratellino che da febbraio è in carcere con la mamma”, ha scritto Antonella Napoli – presidente di Italians for Darfur che ha parlato con il marito di Meriam Yayia Ibrahim Ishag – su Twitter dove ha postato la prima foto della piccola, rilanciando l’appello per la raccolta di firme da inviare al governo del Sudan affinché conceda la libertà alla giovane.

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