Il Convegno ecclesiale diocesano

Discorsi di semina: la contemplazione della grande tela di Van Gogh intitolata Il seminatore riassume il senso dei due giorni del Convegno ecclesiale diocesano: «è legittimo – ha detto monsignor Paolo Sartor, invitato come relatore – voler vedere qualcosa che cresce, ma occorre mettersi nella logica di lavorare non solo per noi ma anche per quanti verranno dopo di noi».
«Camminiamo insieme». I lavori del Convegno, ospitati nei locali della parrocchia Beata Maria Gabriella, sono stati aperti dal vescovo Mosè Marcia che si è lasciato condurre, nella propria riflessione, da tre passi evangelici. Il brano dei discepoli di Emmaus – che ha anche fatto da icona biblica al Progetto pastorale diocesano – ha riportato alla mente l’inizio del percorso che ha portato alla stesura del Progetto: «Anche noi – ha ricordato il Vescovo – siamo partiti con entusiasmo, dopo tre anni siamo un po’ tristi, forse delusi, come i due discepoli. Un senso di precarietà e debolezza soffoca le aspirazioni, oggi c’è forse una chiusura nel nostro individualismo, viviamo la divisione. Ma per poter “partire senza indugio” dobbiamo ricominciare insieme, insieme tra noi e insieme al Risorto, occorre che nel nostro quotidiano facciamo la strada insieme, nelle nostre comunità il parroco insieme ai fedeli, alle associazioni, ai movimenti».
Il Vangelo della moltiplicazione dei pani e dei pesci – intorno al quale erano state sviluppate le Linee pastorali – suscita un’altra considerazione: «Forse abbiamo poche idee o poca esperienza o capacità o poca coesione tra di noi, non importa, gioca con questo poco che tu hai – ha esortato il Vescovo – giocalo tutto. Giocatelo insieme, il resto lo fa Lui».
Infine il brano della guarigione del paralitico: Gesù è in casa che parla e c’è una gran folla tanto che altri non riescono ad entrare fino a che quattro uomini pieni di fede scoperchiano il tetto e portano un malato, un “ultimo” davanti a lui: «smantellano una sicurezza e ottengono il miracolo». Ecco il parallelo nella nostra realtà: «Siamo dentro la Chiesa, ascoltiamo Gesù o giudichiamo – ha chiesto il Vescovo – lasciandoci andare a quelli che il papa chiama “peccati parrocchiali”? Intasiamo la casa e non permettiamo ad altri di accostarci a Gesù? Che reazione abbiamo di fronte a chi scoperchia le nostre sicurezze? Oppure possiamo essere come i quattro che insieme portano giù il malato, quella parte della comunità che è ammalata?». Ecco ancora l’invito a «mettere insieme il poco che abbiamo e che siamo per fare il cammino con Gesù, anche in un momento di disagio».
Il focus: la formazione. La relazione di monsignor Paolo Sartor, direttore dell’ufficio catechistico nazionale, ha avuto come fulcro il tema della formazione, attuare gli obiettivi del Progetto pastorale diocesano a partire dall’obiettivo della formazione era proprio uno dei motivi principali del Convegno ecclesiale. Alcuni passi degli Orientamenti per l’annuncio e la catechesi della Cei hanno accompagnato la riflessione: «Tutto l’agire pastorale – se visto in chiave comunicativa, relazionale ed educativa – suscita domande, forma persone, educa a risposta, accompagna a coerenza il cammino della vita». La formazione ha poi quattro dimensioni: innanzi tutto l’essere, «il cristiano dice quello che ha incontrato»; poi il sapere, «l’intelligenza dei contenuti dice competenza, il contrario è il dilettantismo»; ancora il saper fare, che significa sapersi relazionare, collaborare, guidare un gruppo; infine saper stare con, che rinvia alla sfera comunicativa-relazionale.
Lo stile di collaborazione plasma il volto educativo della comunità, «il singolo non può farsi carico di tutto – ha detto monsignor Sartor – una parrocchia non è il proprio parroco, la comunità ha certo una guida ma gli altri non sono estranei, le persone sono una ricchezza per la comunità».
La seconda parte della relazione ha avuto sullo sfondo le parole di papa Francesco in Evangelii gaudium, laddove invita tutti ad abbandonare il comodo criterio pastorale del «si è fatto sempre così» e ad «essere audaci e creativi in questo compito di ripensare gli obiettivi, le strutture, lo stile e i metodi evangelizzatori delle proprie comunità». Una comunità in trasformazione deve allora – per monsignor Sartor – ascoltare il contesto e sapersi assumere le proprie responsabilità. La riforma passa poi attraverso tre passaggi: individuazione di obiettivi, cambiamento nelle forme (relazioni, cammino) di vita, riforma delle strutture.
Sette laboratori, nei quali il “pretesto” della progettazione di un determinato appuntamento pastorale parrocchiale ha spinto i componenti a lavorare insieme, hanno chiuso la prima giornata, caratterizzata da una buona partecipazione nonostante l’allerta meteo in corso.
Le difficoltà del lavorare insieme. La seconda giornata si è aperta con una sintesi dei laboratori affidata a suor Antonella Cangiano, responsabile dell’Ufficio catechistico diocesano, che ne ha evidenziato limiti e aspetti positivi. Spesso manca la buona prassi del programmare, la chiarezza e la concretezza nell’individuare gli obiettivi come pure la capacità di riconoscere il reale valore della collaborazione e della corresponsabilità laddove abbonda invece l’individualismo. Sottolineati anche – e valga come ammonimento per i parroci – i limiti dei Consigli pastorali che sono spesso visti come gruppi a sé, che non condividono, caratterizzati da una scarsa rappresentanza delle varie realtà come gruppi e movimenti. Da sottolineare, in positivo, il desiderio di uscire dal proprio piccolo gruppo, di conoscersi e condividere, e la capacità di comunicare.
Obiettivi, forme e strutture. Il secondo intervento di monsignor Sartor, sulla scorta anche di quanto emerso dai lavori di gruppo, si è mosso dai tre passaggi enunciati la sera precedente cercando di armonizzare il tema della formazione con gli altri obiettivi del Progetto pastorale diocesano. Formare in relazione alla famiglia, riscoprendo la Chiesa come famiglia e vivendo nella Chiesa a partire dalla realtà familiare riscoprendo relazioni, gratuità, continuità, perdono e sacrificio. Formare in relazione alla dottrina sociale della Chiesa significa riscoprire la sensibilità per l’altro e per la convivenza sociale. Formare in relazione alla pastorale d’insieme è anzitutto discorso di fede. Formare in relazione all’uscire e alla missione significa entrare in una dimensione di speranza, consapevoli che non si è soli.
Quanto alle forme della pastorale, sono per don Sartor, da privilegiare le azioni che favoriscano l’interagire tra diversi soggetti, gruppi e competenze, occorre ancora andare in zone nuove, nelle “terre di nessuno” (ad esempio la pastorale per i giovani tra i 14 e i 18-20 anni), valutare il livello di qualità delle proposte e non solo la quantità. L’invito è poi a provare sempre, ad avere il coraggio di innovare non negando il passato e non limitandosi alla ripetizione.
Le strutture infine, come il consiglio pastorale o quello degli affari economici. La parola d’ordine è armonizzare, in concreto sapendo consigliare – consapevoli che suggerire un’idea significa anche portare a casa un po’ di lavoro da fare – imparando a criticare, proponendo passi praticabili, guardando in alto senza rimanere invischiati in problematiche di basso livello.
«Tutto questo è un impegno che chiede a ciascuno qualcosa in più – ha concluso Sartor – e che pone al centro le relazioni, quello che alla fine resta».
Le conclusioni. Un vivace dibattito, favorito da una presenza anche maggiore rispetto a quella della prima giornata, ha animato la platea, ponendo ancora una volta al centro la necessità di spendersi nella pastorale, partendo dalla preghiera come motore dell’azione, e sforzandosi sempre più di lavorare insieme in parrocchia e nelle varie realtà: «gruppi e movimenti facciano finalmente il tifo l’uno per l’altro – ha scandito Mondina –, basta con i giudizi e le cattiverie reciproche».
Il Vescovo ha raccolto tutti gli interventi nella riflessione conclusiva, senza nascondere un poco di ottimismo: «Comincio a vedere quello che sognavo due anni fa – ha confidato confortato dal tono degli interventi –, lavorare insieme. Si è maturato nell’insieme, occorre maturare nelle relazioni prima che programmare». Ha poi invitato alla preghiera e al coraggio: «non tutti possiamo fare tutto ma mettiamoci al lavoro, basta chiacchiere. Stiamo tutti giocando la vita per il Cristo e questo mi incoraggia». Si riparte da qui nel cammino pastorale delle comunità e della diocesi.

f.c.

© riproduzione riservata

Materiali:

Guarda la galleria di immagini della due giorni del Convegno

[Best_Wordpress_Gallery id=”6″ gal_title=”Convegno ecclesiale diocesano 2015″]

condividi su