Il Redentore. Il suo sguardo svela la realtà

Pubblichiamo il testo dell’omelia del vescovo Antonello per la festa del Redentore2021, con riferimento alle seguenti letture bibliche: 1Re 3,5-13; salmo 118; Ebrei 12,1-4; Lc 12,49-57

Nel salutarvi con gioia, invito me e voi – una volta saliti sul monte Ortobene – ad assumere in noi e sulla realtà lo sguardo del Redentore. L’anno scorso, confrontandomi con la statua che da 120 anni si erge sulla città e sul territorio, mi sono soffermato sulla sua altezza e grandezza, mentre quest’anno – come dicevo – vorrei sottolinearne lo sguardo, perché ciò che distingue una persona da un’altra è il suo modo di vedere, che fa emergere chi sa guardare lontano e sa essere lungimirante, anche grazie alla fede, e chi, diversamente e all’opposto, ha occhi bassi, rasoterra, incapace di alzare lo sguardo su quanto avviene o può avvenire, vicino e lontano.
Ci guida, come sempre, la Parola di Dio, che con il brano della Lettera agli Ebrei, scelto oggi, ci invita, come scrive, a correre con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, tenendo fisso lo sguardo su Gesù, colui che dà origine alla fede e la porta a compimento.
Chiaramente non basta avere fisicamente il dono della vista, è necessario uno sguardo che offra orizzonti e per questo bisogna chiedere e ricevere il dono della sapienza e, aggiungo, della fede. Oggi siamo qui per alimentarci dello sguardo di Gesù, redentore del mondo, del suo modo di vedere e di intravedere, che è sempre un misto di fede e di sapienza, di acume e di profezia. Tutti noi siamo come Salomone, il re d’Israele potente e apparentemente così autosufficiente da poter pensare di non aver bisogno di nulla e di nessuno; eppure, come ci ha raccontato il brano biblico del primo Libro dei Re, lui – vedendo autenticamente la realtà e scoprendo la sua inadeguatezza – non si vergogna a chiedere e a pregare così il Signore: Ti prego. Dammi la saggezza necessaria per amministrare la giustizia tra il popolo e per distinguere il bene dal male. Senza il tuo aiuto, chi è capace di guidare il tuo popolo, che è così grande? Dice la Bibbia che questa richiesta piacque tanto al Signore che Dio gli disse: Farò come hai detto, anzi ti darò tanta sapienza e intelligenza, come nessuno ne ha mai avute e mai potrà averne.
Anche il Vangelo sottolinea che lo sguardo di Gesù parte sempre dalla realtà. Verso di essa – non su quella immaginaria o virtuale – si posano i suoi occhi, ed è per questo che può rispondere ai bisogni delle persone, alle loro povertà e fragilità. I suoi sono gli occhi di chi mette al primo posto l’amore e la solidarietà, quindi sono disarmati, ma proprio per questo arrivano a tutti con uno sguardo ricco, benevole, amico delle persone, sempre alla ricerca del bene che circola nelle loro vite.
Per noi questo è un insegnamento fondamentale. Non basta non essere cattivi o violenti, non basta non odiare, non basta considerarsi buoni interiormente, dicendo: non faccio nulla di male. Perché il male si compie anche solo stando in silenzio o rimanendo alla finestra. Il rischio è vedere quello che non va bene, ma scegliere l’indifferenza. Il male più grande è smarrire lo sguardo, l’attenzione sulla realtà autentica, quella personale e quella globale, che diventa un peccato personale e di conseguenza anche un peccato sociale.
Il segreto è imparare a guardare i grandi eventi quotidiani, locali e universali mettendosi nella prospettiva delle persone più deboli, maltrattate, escluse e sofferenti. Questo è lo sguardo giusto per prendere decisioni, per poter poi rispondere ai loro bisogni, sia singolarmente che nella vita pubblica.
Penso alla famiglia, agli educatori e ai docenti, ai responsabili della vita pubblica. Rifletto su quante decisioni non sono prese guardando chi sta male, ma confermando solo chi sta bene, così che chi è povero rimane povero o addirittura peggiora nella sua condizione, mentre chi è ricco vede aumentare la sua ricchezza. Gesù ci cambia lo sguardo e indipendentemente dai risultati ci rende consapevoli di quello che siamo chiamati a diventare.
Una preghiera di un santo come Tommaso Moro ci offre le parole giuste: Signore dammi la forza di cambiare le cose che posso modificare e la pazienza di accettare quelle che non posso cambiare e la saggezza per distinguere la differenza tra le une e le altre.
Chiediamoci allora: il Redentore, cioè Gesù Risorto, è davvero un punto di riferimento per noi? Il suo sguardo è, sul serio, quello che cerchiamo? Sono 120 anni che ci guarda su questo monte, sono 120 anni che lo guardano generazioni diverse. Cosa è cambiato? Cosa può cambiare?
La storia del cristianesimo è molto più ampia di 120 anni, ma 120 anni sono sufficienti per preparare un futuro, per inventarlo più bello e più giusto. Ogni momento, anche questo, prepara il futuro delle nuove generazioni, di questa terra, di questo territorio. Ne siamo consapevoli?
Gesù ci educa lo sguardo. Ci aiuta a cogliere la realtà. Diceva alla folla, secondo le parole del Vangelo oggi proclamato: Quando vedete una nuvola salire da ponente, dite subito: viene la pioggia, e quando soffia lo scirocco, dite: ci sarà caldo. Però aggiunge, la vostra è una ipocrisia bella e buona: vedete bene ma giudicate e scegliete male!
Abbiamo il desiderio di persone che oggi, da oggi, leggano con occhi nuovi la vita attuale e quella che verrà: genitori che abbiano fiducia nel futuro dei figli, scegliendo prima di tutto di farli venire al mondo; abbiamo bisogno di persone impegnate nella vita pubblica e sociale che, prima di cercare il consenso immediato o l’applauso facile, sappiano costruire un futuro per tutti, prima di pensare solo al loro futuro.
Auspichiamo che gli interessi individualistici – generalmente frutto di sguardi piccoli, miopi, persino meschini – lascino il posto a progetti comuni, ampiamente condivisi, evitando quelle contrapposizioni che sono spesso di casa in ogni ambito – anche nel nostro territorio – contrapposizioni, che per evitare che vinca qualcuno favoriscono un solo risultato: quello che a perdere sono tutti! E si perde in tante maniere e in ogni tempo, a svantaggio di tutti.
Difficile dimenticare che cinquant’anni fa, esattamente il 26 agosto, quindi poco prima della festa del Redentore questo monte fu sfigurato da un fuoco nemico, nemico dell’umanità e della natura. Il bilancio è scritto nel racconto di quei giorni terribili, ma tutti sappiamo, non solo i familiari, che non è solo cronaca la morte di un uomo, Francesco Catgiu, vittima incolpevole di un atto criminale.
Come ci si difende in questi e in altri casi simili? Con lucidità e lavorando insieme. Proprio gli incendi, che si ripetono in ogni estate, causando danni spesso incalcolabili, dimostrano che in questi momenti solo una ribellione civica ci si può salvare, perché nonostante i meriti di una struttura organizzativa certamente più funzionale di ieri, sembra talvolta affiorare una rassegnata indifferenza, quasi che ogni anno dovessimo pagare questa tassa, abituandoci a una illegalità alla quale però non si può rispondere solo con l’indignazione.
Ascoltando l’inizio del brano del vangelo di oggi, un sussulto ha magari accompagnato tutti, quando Gesù dice: Sono venuto a portare il fuoco sulla terra e come vorrei che fosse già acceso. E’ vero sono parole che bruciano, non perché Gesù è un piromane, ma per il tipo di fuoco che lui accende, quello interiore: la passione per Dio e la passione per l’umanità; il volto di Dio e il volto degli altri, un unico fuoco, un’unica passione. Gesù non nega che questo può provocare delle divisioni e delle incomprensioni, è successo a lui e avviene per tutti coloro che imparano ad ascoltarlo e a seguirlo. Quando ci si espone al fuoco del vangelo la prima divisione si crea dentro di noi tra verità e apparenza, tra autenticità e finzione. Se poi si cerca di vivere il vangelo nella vita sociale, senza cedere a compromessi di comodo, la divisione siamo costretti a patirla anche attorno a noi.
Auguro a voi e a me di recuperare lo sguardo del Redentore, quello cioè di Dio manifestatosi per noi in Gesù. Quel saper guardare in profondità, oltre le apparenze, esplorando con gli occhi della fede più quello che sta per nascere che quello che muore, evitando – per scelta e per sapienza – di lamentarci o di rimanere alla finestra.
Gli occhi del nostro Redentore sono decisi, profondi, penetranti, acuti. Che diventino un po’ più i nostri, che ci facciano cogliere chi siamo e quelli che possiamo diventare, osservando la realtà che ci circonda.
La Vergine Maria, nostra Madre, che coglieva in anticipo i problemi, come fece a Cana quando si accorse che alla festa mancava il vino della gioia, ci dia la forza di non starcene in disparte, dicendo: non mi interessa, e ci coinvolga invece con passione nei luoghi dove le persone hanno bisogno di noi per brindare alla vita.

+ Antonello Mura 

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