La chiusura della Visita a Torpè

Il martirio della testimonianza come Maria ai piedi della croce

 

Non è un caso che la celebrazione di chiusura della Visita pastorale alla parrocchia di Nostra Signora degli Angeli in Torpè sia stata celebrata di venerdì sera. Pur concludendosi formalmente con gli incontri previsti nella mattina successiva si è dovuta anticipare di un giorno la Messa per via dell’ordinazione sacerdotale prevista per il sabato pomeriggio a La Caletta. Il calendario ha voluto che lo scorso 15 settembre si celebrasse la memoria liturgica di Maria Addolorata, proprio la figura che il Vescovo ha voluto indicare ai fedeli di Torpè come modello di fedele testimonianza, «lei che sotto la croce guadagnò la palma del martirio».
Come in un catechismo illustrato, il Vescovo ha voluto portare la comunità sul Calvario, una scena presente anche in uno degli altari laterali della parrocchia: ecco Gesù in croce, ai suoi piedi Maria e Giovanni. «I Padri della Chiesa – ha spiegato monsignor Marcìa – guardando questa scena e vedendo il corpo di Gesù segnato dai chiodi e dalla ferita al costato, da cui uscì sangue ed acqua, vedono il dono della grazia dei sacramenti: la Chiesa». Un salto a ritroso nel Vangelo porta i fedeli a Cana, «c’è qualcosa che accomuna le due pagine di Giovanni – ha proseguito: la sposa non viene nominata, in realtà sono i dodici (compreso Giuda) che vedono il primo segno di Gesù, lo sposo è Cristo ». C’è poi un dialogo, Gesù si rivolge a Maria chiamandola “Donna”, è la stessa terminologia usata sul Calvario. «Tenendo conto della lettura dei padri mi piace contemplare oggi noi Chiesa ai piedi di quella croce». Due sono le cose che ha poi voluto sottolineare, proseguendo.
«Maria sta» – dice il Vangelo – ed è, ha sottolineato il Vescovo, «uno stare dignitoso nel dolore, nella riprova di fede. E sta lì in piedi ma non è impietrita, dobbiamo avere il coraggio anche noi nella nostra vita di stare con dignità ai piedi della croce» anche se tutto ciò che è sofferenza «ce lo vogliamo scrollare dalle spalle ». Maria stava, «stava nella sua dignità di madre, una madre che si vede uccidere il figlio in quel modo e ingiustamente ». Un altro parallelo evangelico porta all’annunciazione, «è bello vederlo così, Maria in quel momento ha avuto un’altra prova di fede pari al giorno con l’angelo: aveva i suoi progetti, Giuseppe come sposo, pensava alla sua vita e l’angelo gliela cambia totalmente, e lei che accetta, sì, fiat. Ai piedi della croce Maria sa che quello è il figlio di Dio, sa che è generato da lei, ma sarà davvero figlio di Dio per morire così in questo modo ingiusto? Credo che lì abbia fatto un altro atto di fede».
Torna così un concetto caro al Vescovo, quell’essere Chiesa che nasce dalla croce e dal cuore squarciato di Gesù, «come Chiesa dobbiamo avere la capacità di stare con Maria ai piedi della croce. Abbiamo sentito la preghiera – ha proseguito –, “Beata la Vergine che senza morire meritò la palma del martirio”: La Chiesa è una martire, il nostro essere Chiesa è un essere Chiesa di martirio. Quando noi evitiamo e scansiamo nella nostra vita tutto quello che è martirio non siamo Chiesa». Ma chi è il martire? «È testimone, e noi come Chiesa siamo testimoni, testimoni di una croce. Se non siamo in quella lunghezza d’onda non possiamo essere Chiesa».
Un secondo pensiero che nasce dalle parole di Gesù. “Ecco tuo figlio”, «la Chiesa genera figli, noi siamo figli generati dalla Chiesa nel battesimo». Spesso, ha ricordato il Vescovo anche pensando agli incontri avuti in settimana, si è portati a pensare che la Chiesa siano gli altri, no, «quella Chiesa ai piedi della croce la troviamo in Giovani che “accolse con sé” Maria. Abbiamo la capacità di accogliere il nostro essere Chiesa?» – ha domandato ai fedeli di Torpè.
Ha ricordato monsignor Marcìa gli incontri avuti nelle scuole, con i bambini e i ragazzi, certo – ha riconosciuto – manca una ascia d’età, i giovani, dove sono? Rispondendo ha invitato a non puntare il dito dicendo che “sono fuori”, che “sono scappati”, ma anzitutto pensando ai bambini che sono il futuro della comunità e poi ai giovani ha esortato a rischiare la felicità: «Se vogliamo, se volete invogliare qualche giovane mettevi a fare qualcosa felici di farlo, prima i bambini poi i giovani vi imitano, ci imitano. Ma se facciamo le cose stanchi non ci imita nessuno». Il Vescovo ha pensato anche agli incontri avuti nel tempo con alcune coppie incapaci di scegliere la via del matrimonio, avevano alle spalle separazioni e divorzi: «Che esempio diamo? Che gioia diamo? Che felicità diamo? Che testimoni siamo? Che martiri siamo? I giovani hanno bisogno di esempi felici, gioiosi, se siamo Chiesa triste i giovani non vengono, se noi siamo felici di essere Chiesa allora sì. Ai piedi della croce impariamo ad essere testimoni pronti a dare anche la vita. Il Signore per il momento non ce la chiede, ma ci chiede testimonianza, il martirio quotidiano della testimonianza ».
Una bambina a scuola, vedendo la croce pettorale del Vescovo gli ha domandato a cosa servisse, la risposta “Per ricordarmi che devo portare la croce” per quanto esatta e ricercata non era soddisfacente, «Serve per pregare» – ha detto candidamente la bambina – e mi ha messo ko». Anche Giovanni prese con sé Maria in un contesto di preghiera, c’è la croce, il suo peso ma anche l’abbandono totale. Così risponde anche la seconda lettura, Gesù che vive l’abbandono al Padre, in obbedienza al Padre: «Ecco l’augurio che vi faccio chiudendo la Visita pastorale: Torpè ha bisogno di persone felici, che possiate davvero vivere il vostro cristianesimo felice, il vostro essere Chiesa felici di essere famiglia di Dio». (fra. co.)

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