La giornata degli ammalati

Declinare il verbo servire
Insieme al Vescovo i volontari di Adi, Unitalsi e Oftal

Sapientia cordis. «Io ero gli occhi per il cieco, ero i piedi per lo zoppo»: dalla pagina di Giobbe papa Francesco ha tratto il tema per la celebrazione della XXIII Giornata mondiale del malato istituita da san Giovanni Paolo II e celebrata ogni anno nella memoria liturgica della Madonna di Lourdes, l’11 febbraio.
Idealmente di fronte alla grotta di Massabielle, gli ammalati e i volontari di varie associazioni si sono ritrovati nella parrocchia di San Giovanni Battista a Nuoro per vivere l’eucarestia insieme al Vescovo Mosè. Nella sua omelia sono risuonate le parole del Papa: «Come si esprime la sapienza del cuore?» – ha domandato. «Innanzitutto – ha detto rivolgendosi al mondo del volontariato – nel servire il fratello, ma non solo per il tempo del pellegrinaggio – ha aggiunto il Vescovo – occorre servire ogni giorno. Poi bisogna stare con il fratello, anche in silenzio. Ancora è necessario uscire da sé e infine essere solidali con il fratello senza giudicarlo».
Agli ammalati, «ma chi più chi meno lo siamo tutti»– ha commentato – ha posto un’altra domanda: «Come viviamo la nostra poca salute? Forse non sappiamo soffrire, perché non sappiamo vivere con fede». È allora utile ripercorrere l’esperienza dei discepoli di Emmaus. Sono tristi anche se accanto al Viandante stanno proclamando la loro fede, dopo aver riconosciuto Gesù rinasce in loro la gioia: quella gioia è venuta prima di tutto dal confronto con la Parola.
E allora anche i Salmi vengono in aiuto: «Nulla mi manca, tu sei il mio pastore», anche il dolore può essere la mia guida. «Nulla mi può separare dall’amore di Dio», ha scritto Paolo ai Romani: né la sofferenza, né il peccato. Infine una certezza, con Isaia: «Lui si è caricato di tutti i miei dolori. Sono in buona compagnia».
Anche Lourdes allora ha una parola per me, mi aiuta a vivere con fede.
Nella prima parte della sua riflessione il Vescovo ha voluto commentare le letture del giorno. Il brano della Genesi presenta l’uomo posto da Dio nel giardino dell’Eden: non siamo noi a dire ciò che è bene e ciò che è male, l’etica e la morale ce le detta Dio anche se noi continuiamo a decidere tutto per conto nostro. Poi la parabola narrata nel Vangelo: ciò che guasta l’uomo non è nelle cose materiali ma da quanto nasce nel cuore. «Possiamo agire bene solo assecondando la coscienza plasmata dalla Parola di Dio». Così il cerchio si chiude, «la sapienza del cuore – ha ribadito il Vescovo – va illuminata dalla Parola di Dio». Infine l’invocazione a Maria affinché si faccia ausiliatrice e maestra di fede vissuta nella quotidianità.
Il pomeriggio ha finalmente visto insieme le varie realtà che operano accanto agli ammalati, spesso separate dalle loro differenze hanno ritrovato unità nella comunità ecclesiale. Questa celebrazione, insieme agli incontri formativi unitari intrapresi di recente, sia l’inizio di un reale cammino di fraternità e condivisione e sia da stimolo ai giovani per favorire un ricambio generazionale sempre più necessario.
«L’esperienza del dolore – ha scritto il Papa – può diventare luogo privilegiato della trasmissione della grazia e fonte per acquisire e rafforzare la sapienza del cuore. Si comprende perciò come Giobbe, alla fine della sua esperienza, rivolgendosi a Dio possa affermare: “Io ti conoscevo solo per sentito dire, ma ora i miei occhi ti hanno veduto”».

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