Vivere da risorti

Un passaggio del Credo che recitiamo la domenica nella Messa merita una riflessione per vivere pienamente la Pasqua. Noi non diciamo ‘credo’ nella risurrezione dei morti, ma ‘aspetto’ la risurrezione dei morti.

Aspettarla, desiderarla, sperarla, aiuta a credere e quindi rafforza la fede. Non certo questo per un gioco di suggestioni o per alimentare illusioni rasserenanti, ma piuttosto perché ciò che noi speriamo profondamente trova in Gesù un esemplare ineguagliabile. Lui è sempre un uomo di speranza in ogni momento della vita: quando piange e grida di non voler morire, quando risuscita da morte e promette che risusciterà anche noi nell’ultimo giorno. Dio affronta la morte per dirci che sta dalla nostra parte e che mai dobbiamo rassegnarci a morire.

Chi è ferito non solo fisicamente, chi soffre per la morte di un familiare, chi ha fatto esperienza della violenza altrui non può non sperare nella vita. Viviamo così in profondità queste aspirazioni che anche quando i nostri occhi sono offuscati dalle lacrime e ci sembra di sperare contro ogni speranza, abbiamo sempre bisogno di dire, di pregare, perfino di rimproverare dolcemente nostro Signore, come fecero Marta e Maria a Gesù: «Se tu fossi stato qui mio fratello non sarebbe morto» (Gv 11,21). Molte volte queste frasi ci sono risuonate dentro, perché la storia di Lazzaro racconta la nostra storia e anticipa anche quella di Gesù. Tutti i sepolcri, non solo quelli fisici, ci dimostrano che croce e risurrezione sono inscindibili. Lo sono nell’umanità, quando essa cerca con grande fatica di alimentare la vita senza riuscirci, creando invece all’opposto cantieri di morte per i singoli e per i popoli; lo è per Dio, quando il grido del Crocifisso raggiunge drammaticamente il Padre: «Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato» (Mc 15,34).

Ma la speranza della risurrezione non delude, essa continua a sorgere dalla storia dell’umanità: dal grido di un crocifisso come dalle tombe destinate arimanere vuote. E i sepolcri, tutti, possono essere svuotati unicamente dall’amore, perché l’amore è più forte della morte e solo «chi non ama rimane nella morte» (Gv 3,14). Ama sempre, ama comunque, ama nonostante tutto. Gesù è l’esemplare, come Dio e come uomo, di un amore che non arretra mai, neanche quando, innocente, viene condannato a un’ingiusta sentenza. Quando vivo l’amore ad immagine di Gesù, io vivo da risorto, ancor prima della risurrezione dopo la morte. La vera sfida per i credenti è vivere oggi da risorti, perché aspettare la risurrezione dai morti significa impegnarmi già da ora per sconfiggere ogni morte.

Questo è il dono della Pasqua a quanti si lasciano coinvolgere dalla vita di Gesù: la morte non ha mai l’ultima parola per chi lo sceglie, lo ama e si lascia da lui amare. Chi ama non morirà in eterno.

Nel nostro quotidiano, nella nostra fede talvolta smorta, tra le nostre speranze deluse, insomma nel groviglio di ogni giorno che continua a seminare dolorose strisce di morte, compaia uno sguardo profondo che ci faccia vedere tra i crepacci del presente il fiore che nasce, la vita che continua a sconfiggere la morte.

Grazie a Lui. Buona Pasqua.

+ Antonello Mura

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